• Sabato 30 gennaio 2016 ore 17:00

    Palazzo Stella - inaugurazione

     

    “…MA SOLO UNA GALLINA LO ASCOLTA”

    mostra personale di Enzo Ferrea

    a cura di Sandro Ricaldone

     

    aperta fino al 17 febbraio 2016

    da martedì a sabato

    ore 15:00 – 19:00

     

    Genova, SATURA art gallery

     

     

    S’inaugura sabato 30 gennaio 2016 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “…Ma solo una gallina lo ascolta” di Enzo Ferrea a cura di Sandro Ricaldone. La mostra resterà aperta fino al 17 febbraio 2016 con orario 15:00 – 19:00 dal martedì al sabato.

     

    Il bello è un duplice oggetto e tuttavia un oggetto unico. È un oggetto reale e dato mediante i sensi, ma non si riduce a ciò, è piuttosto, altrettanto, un oggetto completamente diverso, irreale che appare nel reale – o che emerge dietro ad esso. Il bello non è il primo oggetto, né il secondo soltanto, ma piuttosto entrambi l’uno nell’altro e l’uno con l’altro. Dunque, più correttamente, si afferma che esso è l’apparire dell’uno nell’altro .

     Nicolai Hartmann

    Si debbono salire cento e cento gradini, di quell’ardesia scura, scavata dai passi, di cui sono fatte le scale degli antichi palazzi, per approdare alla Camera delle Apparizioni. È in tutto simile, questa camera incantata, a quella stanza che Giorgio De Chirico pigliava ad esempio per descrivere quel meccanismo del pensiero che svela l’aspetto metafisico delle cose. “Vedo un uomo seduto sopra una seggiola, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri …”  ma non mi è necessario che la collana dei ricordi, per cause inspiegabili, si spezzi per entrare nello stato di stupore, di sgomento misto a dolcezza che la sospensione della logica riesce a determinare. Mi è sufficiente, in questa casa alta sul porto, fermare lo sguardo sui quadri alle pareti per trovare un varco che, senza del tutto sottrarmi alla realtà dell’ambiente e degli oggetti, mi introduce - dentro e persino al di là di essi - nell’idea che qualcosa di imponderabile è accaduto e traspare serenamente dalla superficie pittorica.

    L’uomo che si scorge seduto in questa stanza, che ora viene trasferita, senza perdere nulla della sua identità enigmatica, nella grande sala di Satura nel Palazzo di Piazza Stella è un signore dalle personalità molteplici, che si diramano fra le arti drammatiche, coltivate in gioventù, e gli scenari inquietanti del romanzo noir, che lo ha visto emergere con il premio Tedeschi ottenuto nel 1981. Sinora rimasto nascosto, consegnato alle mura domestiche, il suo segreto raccolto entra nel mondo per sorprendere con la sua antica novità, attraverso immagini che – come scriveva Carrà – “esistono quando l’anima si inarca e le cose non sono più delle cose” e con una scarica magnetica viene a crearsi “una rete di luce su di esse” .

    Lo stupore che proviamo di fronte a questi infanti radiosi e alle insolite, floride fanciulle fasciate in vesti di colore acceso, è ciò che ci permette di riconoscere che, paradossalmente, le cose non sono (soltanto) quello che sono o quel che si può credere che siano . È – ancora - ciò che ci consente di distinguere le figure, le forme, dalla loro natura profonda di apparizioni e di permetterci d’intuire quest’ultima nella sua ampiezza; che ci dà modo, insomma, di oltrepassare la barriera del visibile per accedere ad una quieta, ma intensa, visione.

    Non risiede nell’immediatezza e nella veemenza espressiva la carta di cui si vale Ferrea nel suo operare; l’artista si affida invece alla misura dell’esattezza e della grazia, a quel “potere prezioso” che per l’Eupalino di Valery risiede nell’unione “di un’analisi a un’estasi” .

    Non per caso, i personaggi che primariamente animano i suoi dipinti sono bambini, dai cui profili traluce una sorta di gloriosa innocenza, o adulti che mantengono i tratti del tempo giovanile: appropriatamente poiché “il vero prodigio è lo stato d’infanzia” .

    Un primo esemplare di questa sequenza lo incontriamo in un pargolo celestiale (un alias, parrebbe, del Bambin Gesù) con il capo circondato da un’aureola e una veste trapunta di stelle, nell’atto d’impugnare un pastorale cruciforme. Un secondo si presenta nella veste di un putto bamboccesco, dagli occhi cerulei, statuariamente ritto su uno sfondo agreste, dove un’erba dorata cresce sulla sponda d’un lago.

    Un terzo è ritratto nella cornice di un sottile portale a bande rossoazzurre, mentre stringe per la coda una lucertola, come in un placido controcanto al concitato Fanciullo morso da un ramarro di Caravaggio.

    Più inquietanti si rivelano talune delle immagini femminili, pur se anch’esse consegnate ad un’infanzia fuori dal tempo: una, dalla chioma color grano maturo che spicca sulla veste rossa, ha alle spalle un corpo sospeso ad una forca; un’altra, schiacciata sotto un cielo che rannuvola, tiene in mano un teschio; un’altra ancora, dalla capigliatura  atteggiata a fiamma, è affiancata da una testa spiccata dal busto, da cui il sangue non ha cessato di sgorgare.

    Se in questi lavori il colore viene portato, specie nelle figure, ad una pienezza inusitata, o incastonato -  negli interni domestici - in squillanti tarsie, nei ritratti di donne in età più matura sfuma in tonalità diafane, lasciando preminenza ai profili tondeggianti che, sovrapponendosi in diminuendo, dal basso in alto, ne definiscono sia le forme d’insieme sia i lineamenti dei volti. Articolato sovente in dittici dalle calcolate simmetrie, quest’altro ciclo pittorico comunica un senso di perfetto equilibrio, in una “inerzia vertiginosa” che può rammentare per più d’un verso la geometrica purezza della composizione ingresiana.

    “Nell’idea di re-incantamento – scrive Federico Vercellone - si congiungono due cespiti di diversa provenienza: nel primo affiora una diversa sensibilità nei confronti del nostro tempo, con il secondo affiora invece una nuova esigenza nei suoi confronti” . Con la sua Camera delle Apparizioni, Enzo Ferrea le assume entrambe, sollecitando, attraverso lo stupore che accende, la nostra disposizione a non accogliere il  mondo “nella letteralità della rigidezza astratta e istituzionalizzata” che “è tutt’uno con la sua immagine”, ma a calarci oltre la superficie e a rispondere all’“intimazione di ulteriorità” che vi è celata.




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